Sentenze su anatocismo, interessi
ultralegali e prescrizione
Sentenze estese per
approfondimento :
I.
I.
Tribunale di Mantova, sez. II 16.1.2004 Giudice Mauro Bernardi per gli
interessanti spunti ,anche se non
tutti condivisibili (per es. lapplicazione del tasso del bot annuale minimo e
non massimo)
II.
Cassazione
Sezione Prima Civile sentenza
n. 10127/05, questultima
perché contiene lesplicito
riferimento al contratto di conto corrente da parte della Suprema Corte del
principio della decorrenza della prescrizione dalla data di chiusura del
rapporto, sulla base della considerazione dellunitarietà nel tempo di detto
rapporto,principio affermato dalla stessa Corte in altre occasioni ma non
direttamente rispetto alla problematica in esame.
III.
Cassazione Civile, sez. U., sent.
n. 21095 04-11-2004, che ha risolto a livello Sezioni Unite le diverse posizioni
della Suprema Corte in merito allanatocismo ed interessante per lexcursus
storico della giurisprudenza sullargomento
I. Tribunale di Mantova, Sez. II Giudice unico Dott. Mauro Bernardi - Sentenza del giorno 16 gennaio
2004.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato
in data 23-11-1998 lattore affermava di avere sottoscritto in data 8-6-1992
un contratto di fideiussione con lIstituto
xxx garantendo lobbligazione di A. V. sino alla concorrenza
dellimporto di £ 30.000.000 e di avere interamente ripianato lesposizione
del garantito versando, il 17-3-1994, la somma di £ 20.925.484.
Listante assumeva che,
successivamente, listituto bancario gli aveva ulteriormente richiesto di
provvedere a saldare lesposizione del conto corrente n. 10/9475 sempre
intestato allo Iacoviello pari a £ 38.500.940 e che, di fronte alla propria
disponibilità subordinata alla richiesta di esaminare la documentazione
comprovante il credito (la quale veniva integralmente prodotta solo in corso di
causa), la banca aveva opposto un netto rifiuto invocando esigenze di tutela
della riservatezza del garantito. La difesa del xxx concludeva contestando di
dovere alcunché essendo la richiesta di pagamento fondata su obbligazione già
adempiuta e comunque eccedente il limite della garanzia rilasciata, rimarcando
il comportamento contrario a buona fede tenuto dalla banca che, con il suo
ostruzionistico atteggiamento, aveva procrastinato nel tempo la soluzione della
vertenza addebitando interessi ad un tasso imprecisato e non conforme alle
disposizioni di legge.
La
banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda evidenziando che la somma
pretesa si riferiva a diversa esposizione rispetto a quella adempiuta e fondata
sulla fideiussione sottoscritta dallattore il 7-12-1992 (con limite di
importo garantito sino a £ 4.000.000) relativa al conto corrente n. 20893/1 (di
cui al contratto stipulato in data 4-11-1992) poi riconvertito in quello n.
10/9475 a seguito dellincorporazione della Banca xxx nellIstituto yyyyy
ribadiva inoltre la legittimità del proprio comportamento di rifiuto di fornire
la documentazione concernente il
credito in mancanza di espressa
autorizzazione da parte del garantito ex art. 11 l. 675/96 sottolineando
peraltro di avere informato il xxxx del comportamento inadempiente del garantito
(con comunicazione inviatagli in prossimità della chiusura del conto) e di
averlo sollecitato a munirsi della prescritta autorizzazione. Infine la banca
teneva a precisare che nessun interesse era stato contabilizzato anteriormente
al passaggio a sofferenza sicchè nessun danno lattore poteva lamentare.
Con memoria ex art. 183 u.c.
c.p.c. lattore eccepiva la nullità della clausola del contratto di apertura
del conto corrente che, per la determinazione degli interessi, faceva
riferimento agli usi di piazza nonché di quella che prevedeva lapplicazione
da parte della banca della capitalizzazione trimestrale degli interessi
debitori.
Analoghe considerazioni venivano
poi svolte in relazione alla commissione di massimo scoperto parimenti
determinata con riguardo ai criteri usualmente praticati dalle aziende di
credito sulla piazza.
Listituto bancario a propria
volta eccepiva che al fideiussore era preclusa ogni contestazione in ordine agli
interessi applicati non essendo mai stato sollevato, sul punto, alcun rilievo da
parte del debitore principale nonché a causa della decadenza sancita
dallart. 1832 c.c. ed infine rilevava che le doglianze concernenti la misura
degli interessi avrebbero modificato radicalmente e, pertanto, in modo
inammissibile, il petitum.
Nel corso del giudizio veniva
emessa ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. in esecuzione della quale il xxx, in
data 4-1-2000, provvedeva a versare allistituto di credito limporto di £
42.778.578.
Effettuate copiose produzioni
documentali e disposta consulenza contabile, affidata al dott. yyyy, la causa,
rimessa in istruttoria a seguito di ordinanza in data 31-10-2002 per
l'effettuazione di un supplemento di indagine, veniva quindi trattenuta in
decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.
Motivi
Preliminarmente occorre esaminare
leccezione di nullità della procura rilasciata al difensore della banca
convenuta (per difetto del potere rappresentativo in capo al soggetto che ha
conferito il mandato) sollevata dallattore nella prima memoria conclusionale
di replica alla quale era stata allegata una visura camerale concernente la
convenuta, eccezione ribadita anche nella seconda memoria di replica ex art. 190
c.p.c.: al riguardo va detto che la persona fisica che, nella sua qualità di
organo della persona giuridica, conferisce il mandato al difensore, non ha
lonere di dimostrare tale sua qualità, spettando invece alla parte che ne
contesta la sussistenza di fornire la relativa prova negativa (in tal senso
vedasi Cass. 20-9-2002 n. 13761; Cass. 11-4-2002 n. 5136; Cass. 2-4-2002 n.
4627; Cass. 17-1-2001 n. 575; Cass. 15-12-2000 n. 15820; Cass. 16-2-2000 n.
1708) né il giudice è tenuto ad accertare dufficio lintrinseca
competenza dellorgano sociale che ha rilasciato la procura in mancanza di
elementi contrari risultanti dagli atti od offerti dalla controparte e
ritualmente prodotti (cfr. Cass. 20-2-1992 n. 2099; Cass. 8-8-1986 n. 4973;
Cass. 18-11-1981 n. 6123). Nel caso di specie il dubbio circa la sussistenza in
capo al rag. Carlo Rossi dei poteri di rappresentanza si desume solo dalla
visura camerale di cui però non si può tenere alcun conto in quanto prodotta
in palese violazione del disposto di cui allart. 184 c.p.c. e quindi la
sollevata eccezione di nullità va respinta.
Debbono poi respingersi le istanze
istruttorie, proposte in sede di precisazione delle conclusioni, volte ad
ottenere ulteriori indagini di natura contabile, potendo trarsi dalla relazione
in atti e dagli estratti conto dimessi sufficienti elementi per decidere la
controversia.
Va inoltre disatteso lassunto
difensivo dellistituto di credito secondo il quale le contestazioni
concernenti la misura degli interessi non potrebbero costituire oggetto
desame in quanto
implicanti domande nuove
tardivamente introdotte: premesso che tali questioni sono state meglio
specificate con la memoria ex art. 183 u.c. c.p.c. deve rilevarsi che la
doglianza circa il criterio di computo degli interessi era contenuta già
nellatto di citazione (cfr. Cass. 1-2-2002 n. 1287).
Occorre altresì aggiungere che il
fideiussore ha diritto di contestare lapplicazione ultralegale degli
interessi in quanto ciò attiene alla validità ed efficacia dei rapporti dai
quali le partite contabili inserite nel conto derivano, contestazione non
preclusa dallapprovazione, sia pure tacita, dellestratto conto (cfr. Cass.
11-3-1996 n. 1978; Cass. 14-2-1984 n. 1112) nè da tale facoltà di impugnativa
risultava essere decaduto il debitore principale.
Non può invece essere esaminata
leccezione (in senso stretto: cfr. Cass. 28-7-1997 n. 7050) di estinzione
della fideiussione per presunta violazione da parte della banca dei criteri di
correttezza e buona fede imposti dallart. 1956 c.c. in quanto tale doglianza
è stata proposta solamente in comparsa conclusionale e quindi tardivamente.
In punto di fatto va osservato che
la pretesa della banca si riferisce allo scoperto del conto corrente n. 20893/1
convertito in quello n. 10/9475 garantito, sino alla concorrenza di £
40.000.000, da fideiussione rilasciata dal xxx con scrittura del 7-12-1992,
rapporto quindi diverso da quello a suo tempo estinto dallattore e che, dagli
atti dimessi e dallindagine contabile disposta, emerge come, sul conto in
questione, non siano stati più addebitati interessi passivi dal giugno del
1994.
Quanto alla dedotta nullità del
contratto di apertura di credito concessa sul c/c n. 10/9475 (questione
sollevata nella prima comparsa conclusionale) sotto il profilo che la semplice
richiesta di concessione di fido sottoscritta dal cliente ed indirizzata alla
banca non sarebbe idonea a soddisfare il requisito della forma scritta (cfr.
art. 3 l. 154/92) non essendo ravvisabile in tale documento, difettando
laccettazione scritta da parte della banca,
un contratto, deve ritenersi che la nullità non ricorra ove la volontà
di accettare risulti inequivocabilmente dalle comunicazioni inviate ex art. 119
t.u.l.b. (il cui invio deve ritenersi avvenuto non essendo stata contestata tale
circostanza se non in comparsa conclusionale) da cui sia dato desumere
lintervenuta concessione di fido (per laffermazione di tale principio in
termini generali vedasi Cass. 10-5-1996 n. 4400 e Cass. 27-3-1996 n. 2712):
orbene nel caso di specie è stata la stessa difesa del xxxx ad ammettere che
laffidamento era stato concesso e daltro canto ciò risulta sia dagli
estratti conto prodotti in giudizio che documentano lavvenuta esecuzione
delle operazioni poste in essere in attuazione dellapertura di credito sia
dallindagine effettuata dal c.t.u..
Va inoltre aggiunto che lart. 6
del contratto di conto corrente contemplava già la possibilità di concessione
di aperture di credito regolandone anche la disciplina di massima sicché la
dedotta nullità non sussiste.
In ordine al computo degli
interessi va osservato che essi non possono essere calcolati al tasso
convenzionale praticato dalla banca in quanto il foglio informativo analitico
che si trova allegato alla relazione peritale è stato prodotto nel corso
dellespletamento della c.t.u. dal consulente di parte della banca e quindi
oltre i termini perentori previsti (anche per le produzioni documentali)
dallart. 184 c.p.c., produzione questa immediatamente contestata dalla difesa
dellattore anche sotto il profilo della violazione del disposto di cui
allart. 87 disp. att. c.p.c.. Né può ritenersi che lacquisizione del
documento rientrasse nei compiti del consulente atteso che la consulenza tecnica
non può supplire al mancato assolvimento dellonere probatorio gravante sulla
banca che doveva provare il fondamento della propria pretesa, evidenziandosi
inoltre che lattività di indagine che il c.t.u. può svolgere anche di
iniziativa è ristretta all'accertamento dei fatti accessori (cfr. Cass.
6-6-2003 n. 9060; Cass. 15-4-2002 n. 5422; Cass. 10-5-2001 n. 6502) e tale non
può certo ritenersi la pattuizione degli interessi.
Né vale invocare il disposto di
cui allart. 198 c.p.c. posto che, pacificamente, lattore non ha prestato
il consenso allesame di atti non prodotti in causa.
Da ultimo non può comunque andare
sottaciuto il fatto che il foglio in questione non risulta unito al contratto di
apertura del conto corrente né esso contiene alcun riferimento al conto oggetto
della presente controversia cosicché, in ogni caso, manca la prova che tale
scritto si riferisca al rapporto in questione.
Quanto alla determinazione degli
interessi va osservato che la clausola contenuta nellart. 7 del contratto
stipulato il 4-11-1992 fa riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle
aziende di credito sulla piazza, clausola da ritenersi nulla per violazione del
disposto di cui allart. 4 co. III della l. 154/92.
Né vale a superare tali
conclusioni il riferimento operato dalla difesa della banca allappendice
contrattuale datata 4-11-1992 sottoscritta dallo A. atteso che, secondo la
stessa, gli interessi dovuti dal correntista allazienda di credito si
intendono determinati nella misura indicata nel presente contratto e producono a
loro volta interessi nella stessa misura, laddove appare evidente che
siffatta dizione non contempla alcuna concreta determinazione del saggio di
interesse praticato.
In conseguenza della ritenuta
nullità della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi
trova applicazione il criterio sostitutivo previsto dallart. 5 l. 154/92
(sostituito poi dallart. 117 VII co. lett. a del t.u.l.b. avente identico
contenuto) in quanto norma speciale rispetto allart. 1284 c.c. e, quindi, il
tasso nominale minimo dei
B.O.T. annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del
conto trattandosi di operazione attiva (tale dovendosi qualificare quella di
erogazione del credito secondo lelencazione contenuta nellallegato
richiamato dallart. 2 della l. 154/92 operante in virtù della disposizione
di cui allart. 161 co. II t.u.l.b.).
Va precisato che ladeguamento
del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto (in tal senso vedasi Trib.
Monza 4-2-1999 in Foro It. 1999,I,1340) si giustifica alla stregua della
considerazione secondo cui la previsione contenuta nellart. 5 l. 154/92 e poi
dallart. 117 t.u.l.b. si riferisce ad un contratto contemplante ununica
operazione e non invece a quello che dà luogo (come nellipotesi del conto
corrente) ad un rapporto di durata caratterizzato, per sua intrinseca natura,
dalla variazione dei tassi di interesse in relazione alle mutevoli condizioni
del mercato (tanto che la facoltà di variazione dei tassi è prevista in via
generalizzata e con modalità semplificate dagli art. 6 l. 154/92 e 117 co. V
t.u.l.b.), dovendosi inoltre tenere conto del fatto che la finalità
sanzionatoria (per la banca) che sta alla base delle predette disposizioni,
verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso
calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T. emessi nellanno antecedente
alla stipula del contratto e quello in concreto applicato dallistituto di
credito durante il corso del rapporto (eventualità che si risolve in certezza
ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi anni, dei tassi
di interesse, fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di
mutui bancari come si desume dal preambolo al d.l. 29-12-2000 n. 394).
Il riferimento temporale al
trimestre trova poi la propria ragione nella previsione contrattuale di tale
termine (v. art. 7) per la chiusura periodica del conto e la determinazione del
saldo.
In ordine alla questione della
capitalizzazione degli interessi merita condivisione lorientamento espresso
dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la clausola di un contratto
bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
cliente è invalida in quanto basata su di un uso negoziale - e non su un uso
normativo (difettando il requisito soggettivo dellopinio iuris che non può
formarsi in capo ad una sola parte dei consociati e cioè dei banchieri) come
invece esige lart. 1283 c.c. - nullo in quanto anteriore alla scadenza degli
interessi (cfr. Cass. 16-3-1999 n. 2374; Cass. 30-3-1999 n. 3096; Cass.
11-11-1999 n. 12507; Cass. 4-5-2001 n. 6263; Cass. 1-2-2002 n. 1281; Cass.
28-3-2002 n. 4490; Cass. 28-3-2002 n. 4498; Cass. 13-6-2002 n. 8442; Cass.
20-2-2003 n. 2593; Cass. 20-8-2003 n. 12222; Cass. 18-9-2003 n. 13739): né
appare fondato il richiamo, operato dalla difesa della banca, al disposto di cui
allart. 25 d. lgs. 342/99 posto che tale norma è stata dichiarata
illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza 9-10-2000 n. 425.
Affermata la nullità della
clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è
possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di
diversa periodicità in quanto lanatocismo è permesso dalla legge ma
soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione fra le
parti, esso rimane non pattuito fra le medesime (in tali termini vedasi App.
Milano 4-4-2003 n. 1142; App. Torino 21-1-2002 n. 64 in www.adusbef.it; Trib.
Brindisi 13-5-2002 in Foro It.,2002,I,1887; cfr. anche Cass. S.U. 17-7-2001 n.
9653): la banca potrà quindi pretendere unicamente linteresse semplice sicchè,
applicando tale criterio, il saldo del conto corrente in questione viene ad
essere determinato in £ 64.173.055 (di cui £ 56.499.968 per capitale e £
7.673.087 per interessi).
Per quanto concerne poi
lapplicazione da parte dellistituto di credito della commissione di
massimo scoperto va rilevato che la misura di tale compenso non risulta in alcun
modo regolata posto che la disciplina contenuta nellart. 7 co. V del
contratto è stata eliminata per effetto della scheda contrattuale integrativa
contestualmente stipulata né la banca ha documentato di avere pubblicizzato le
condizioni a tal fine praticate sicché per tale voce, ai sensi degli artt. 5
lett. b l. 154/92 e 117 co. VII lett. b t.u.l.b., nulla è dovuto.
In ordine alle doglianze circa i
criteri di applicazione delle valute da parte dellistituto di credito, va
evidenziato che si tratta di questione sollevata dalla difesa del Bianchi nella
prima comparsa conclusionale e che non può essere esaminata avendo tale atto
difensivo la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già
ritualmente proposte senza poterne contenere di nuove che costituiscano un
ampliamento del thema decidendum (cfr. Cass. 1-2-2000 n. 1074; Cass. 3-4-1987 n.
3234; Cass. 24-1-1986 n. 455; Cass. 9-6-1983 n. 3964).
Non merita accoglimento la domanda
di risarcimento del danno formulata dallattore e collegata al fatto che la
banca, invocando il disposto di cui
allart. 11 della legge 675/96, non avrebbe consentito al garante di esaminare
la documentazione posta a fondamento del credito: pur dubitandosi della
legittimità di tale comportamento alla stregua dellart. 12 della predetta
normativa, nondimeno nessun danno in concreto è derivato al xxx che aveva
chiesto informazioni sul debito del garantito nel settembre del 1998, posto che
il conto era stato reso improduttivo di interessi sin dal giugno del 1994.
Alla luce delle considerazioni
sopra svolte il credito della banca, per capitale, viene determinato in £
28.855.305 dovendo detrarsi dal saldo del conto alla data del 31-5-1994 (pari a
£ 64.173.055) limporto costituito dai successivi versamenti (£ 35.317.750):
a tale somma debbono aggiungersi gli interessi legali maturati dal 27-5-1998
(data di messa in mora) al pagamento (avvenuto il 4-1-2000) pari a £ 3.037.112
ottenendosi così il totale di £ 31.892.417 corrispondente ad euro 16.471,06.
Atteso che lattore ha versato
alla banca, in esecuzione dellordinanza emessa ex art. 186 ter c.p.c., £
42.778.578 e detratte le spese e competenze legali ivi liquidate pari a £
1.860.700, ne deriva che allattore debbono essere restituite £ 9.025.461
(40.917.878 - 31.892.417) corrispondenti ad euro 4.661,26 oltre agli interessi
legali su tale importo dal 4-1-2000 sino al saldo definitivo.
Deve essere invece respinta la
domanda formulata dalla banca volta ad ottenere il pagamento degli interessi
(calcolati secondo il criterio stabilito dallart. 117 VII co. t.u.l.b.) sulla
somma capitale dal 1-6-1994 (e cioè dal momento successivo alloperato
unilaterale congelamento del conto) sino al saldo effettivo, trattandosi di
domanda nuova formulata per la prima volta alludienza del 6-5-2003 e quindi
tardivamente come immediatamente eccepito dalla difesa dellattore.
Va infine rigettata la domanda di
condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal convenuto atteso che tale norma
presuppone la soccombenza totale dellagente (cfr. Cass. 2-3-2001 n. 3035;
Cass. 15-9- 2000 n. 12177).
Stante la parziale reciproca
soccombenza sussistono giusti motivi per compensare le spese nella misura di un
quinto che vengono liquidate come da dispositivo e quindi poste a carico
dellattore per la restante parte, rimanendo inoltre interamente a carico di
costui quelle liquidate con lordinanza ex art. 186 ter c.p.c.: allattore
vanno inoltre rimborsate nella medesima misura ( 405,93) le spese di c.t.u.
dallo stesso anticipate in corso di causa.
P.Q.M. il Tribunale di
Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra
domanda ed eccezione reietta, così provvede:
dichiara che il debito
dellattore nei confronti della banca convenuta, in relazione al contratto per
cui è causa, ammontava complessivamente ad euro 16.471,06 e che tale debito si
è estinto per effetto dell'avvenuto pagamento da parte del Bianchi in corso di
causa;
ordina allIstituto xxxxs.p.a.
in persona del legale rappresentante di restituire a xxx limporto di euro
4.661,26 maggiorato degli interessi legali dal 4-1-2000 sino al saldo definitivo
nonché quello di euro 405,93 a titolo di concorso nelle spese di consulenza
tecnica;
condanna lattore a rifondere al
convenuto le spese di lite compensandole nella misura di un quinto e, per
leffetto, liquidandole in complessivi euro 5.223,36 di cui 343,36 per
spese, 2.320,00 per diritti ed 2.560,00 per onorari, oltre al rimborso
forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per
legge.
Così deciso in Mantova, lì
16-1-2004.
Il Giudice dott. Mauro Bernardi
II.
Corte
di Cassazione Sezione Prima
Civile sentenza n. 10127/05
Corte di Cassazione
Sezione Prima Civile sentenza n. 10127/05
sul
ricorso proposto da:
Banca
xxxx ricorrente
CONTRO
Fallimento
G. C. s.r.l.
controricorrente e ricorrente incidentale
C
L e C E controricorrenti e ricorrenti incidentali;
avverso
la sentenza n. 598/2001 emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data
22.10.2001;
Con
atto di citazione del 25.3.1996 La G C s.r.l., titolare di conto corrente presso
la
Banca xxx, L C ed E C quali fideiussori, avendo rilevato che
dallultimo estratto Conto bancario risultava un saldo debitore di £.
457.369.987, convenivano
in
giudizio davanti al Tribunale di Lecce la detta banca, per sentir dichiarare la
nullità dei
diversi
contratti di apertura di credito e delle obbligazioni accessorie, e sentir
quindi condannare
la
banca, previo ricalcolo delle somme a credito e a debito di entrambe le parti,
al pagamento
della
somma di £. 335.950.583.
La
Banca xxx, costituitasi, rivendicava la legittimità del proprio comportamento,
osservando
in particolare che il tasso di interesse era stato determinato per
relationem con
criteri
oggettivi,
che lanatocismo era stato correttamente applicato, trattandosi di uso
normativo, che il
computo
degli interessi sugli assegni con decorrenza dal giorno della loro emissione
risultava in
sintonia
con lart. 7 del contratto, e proponeva inoltre domanda riconvenzionale per
ottenere il
pagamento
di £. 457.369.987, oltre accessori, somma corrispondente a quella riconosciuta
in
sede
di ammissione alla procedura di amministrazione controllata da parte della
società
debitrice.
Il
Tribunale di Lecce emetteva dapprima sentenza non definitiva, con la quale
dichiarava che gli
interessi
dovuti in relazione a contratto di conto corrente erano quelli legali; che gli
interessi
composti
dovuti, capitalizzati secondo contratto, erano quelli legali e avevano
decorrenza fino al
29.9.1993,
data di chiusura del conto; che nulla era dovuto per commissione di massimo
scoperto;
che il calcolo della decorrenza degli interessi sugli assegni risultava
corretto. Disposta
la
prosecuzione del giudizio per le relative quantificazioni, emetteva poi sentenza
definitiva, con
la
quale venivano rigettate, perché non provate, le domande rispettivamente
proposte dalle parti.
Entrambe
le sentenze venivano impugnate, in via principale dalla Banca, ed in via
incidentale
sia dalla società, nel frattempo dichiarata fallita, che dai fideiussori.
La
Corte di Appello di Lecce, pronunciando sulle due cause riunite, condannava la
banca al
pagamento
in favore del fallimento della somma di £. 376.375.436, oltre interessi legali
dalla
domanda,
dichiarava inoltre che nulla era dovuto dai fideiussori, rigettava infine la
domanda
riconvenzionale
della Banca.
In
particolare la Corte disattendeva innanzitutto leccezione di improcedibilità
della domanda,
proposta
in ragione dellintervenuta ammissione al passivo del fallimento del credito
vantato
dalla
banca, e ciò in ragione del fatto che il credito in questione sarebbe risultato
da sentenza
non
definitiva e quindi, una volta esercitata da parte degli organi. fallimentari
lopzione per
limpugnazione
ai sensi dellart. 95, comma 3, l.f., il processo avrebbe dovuto
necessariamente
proseguire
davanti al giudice naturale dellimpugnazione, privando in tal modo il giudice
delegato
del potere di decidere al riguardo, tanto che il provvedimento di ammissione da
lui
emesso
sarebbe nella parte in cui contempla il credito della Banca del Salento tamquam
non
esset,
in quanto emesso in assoluta carenza di potere .
Rilevava
inoltre, nel merito, linfondatezza della censura concernente il tasso di
interesse
applicabile
nella specie, osservando innanzitutto come fosse insussistente il denunciato
vizio di
ultrapetizione,
atteso che gli attori avrebbero indicato la ragione della nullità della
clausola
relativa
agli interessi fin dallatto di citazione; fosse priva di pregio
lintervenuta approvazione
degli
estratti conto, essendo nella specie in contestazione la validità ed efficacia
dei rapporti
obbligatori
dai quali erano conseguentemente derivate le annotazioni; non fosse ravvisabile
leccepita
prescrizione, la cui decorrenza sarebbe da far risalire alla chiusura del
rapporto,
avvenuta
il 29.9.1993, mentre lazione era stata esercitata il 5.3.1996; fosse viziata
per
genericità
la clausola determinativa degli interessi con riferimento al c.d. uso piazza, né
avessero
rilevanza in senso contrario le ulteriori considerazioni svolte dalla banca
circa la sua
posizione
di arbitratore, la ricorrenza di usi, la mancata contestazione del credito della
banca
prima
del giudizio, il riconoscimento nei bilanci di esercizio e nel ricorso per
lammissione alla
procedura
di amministrazione controllata, il richiamo allart. 1825 c.c.,
rispettivamente in
quanto:
la banca avrebbe rivestito la qualità di parte e non di terzo, sarebbe
indimostrata
lesistenza
degli usi invocati al riguardo, la mancata contestazione non precluderebbe il
successivo
esercizio del diritto, il riconoscimento del debito, funzionale allammissione
alla
procedura,
non avrebbe efficacia novativa dellobbligazione e non potrebbe perciò dar
luogo
alla
caducazione del diritto di sollevare eventuali eccezioni in proposito, lart.
1825 sarebbe
applicabile
per il conto corrente ordinario e non anche per quello bancario.
Ugualmente
infondate sarebbero poi: la censura dellappellante principale relativamente
al capo
concernente
la capitalizzazione trimestrale, esclusa per il periodo successivo alla chiusura
del
conto
(mentre fondata sarebbe invece quella degli appellanti incidentali in relazione
allaffermata
legittimità della detta capitalizzazione durante il periodo di vitalità del
rapporto),
dovendosi
ritenere esistente sul punto, a dire della Corte di merito, un uso negoziale e
non
normativo,
inidoneo in quanto tale ad escludere lapplicazione del divieto dettato
dallart 1283
c.c.;
quella sempre dellappellante principale - attinente al mancato
riconoscimento della
Commissione
di massimo scoperto, che correttamente sarebbe stata negata in quanto non
prevista
in contratto ; quella - dedotta dagli appellanti incidentali - avente ad
oggetto il rigetto
della
domanda di nullità della clausola sulladdebito delle valute, essendovi in
proposito
previsione
contrattuale, certamente valida pur in assenza di uso normativo, non contrastata
da
alcuna
disposizione di legge.
Avverso
la detta decisione proponeva ricorso per cassazione la Banca, che con sei
motivi,
articolati in più profili, denunciava violazione di legge e vizio di
motivazione, rilevando
in
particolare: limpugnazione sarebbe improcedibile perché laccertamento del
credito vantato
da
esso istituto di credito sarebbe demandato al giudice delegato del fallimento e
vi sarebbe un
nesso
inscindibile fra domanda principale e riconvenzionale, come più volte affermato
da questa
Corte
di legittimità in sede di interpretazione del combinato disposto degli artt. 43
e 52 l.f.
Inoltre
non vi sarebbe carenza di potere da parte del giudice delegato nel disporre
lammissione
del
credito al passivo del fallimento, ma sarebbe al contrario in proposito
ravvisabile, come
conseguenza,
una preclusione da giudicato, e lammissione del credito avrebbe dovuto per di
più
essere interpretata come rinuncia allimpugnazione. Infine la sentenza
definitiva sarebbe
intervenuta
dopo la dichiarazione di fallimento, circostanza questa che escluderebbe
lapplicabilità
sotto tale profilo dellart. 95, comma 3, l.f.; sarebbe errata la pronuncia
relativa
alla
clausola uso piazza sotto diversi aspetti, e cioè perché sarebbe
riscontrabile vizio di
ultrapetizione
posto che la citazione sarebbe priva di riferimenti alla violazione dellart.
1284
c.c.,troverebbe
applicazione la disciplina dellart. 1349, per la quale la banca avrebbe
potuto
legittimamente
integrare lelemento indeterminato con giudizio eventualmente modificabile a
seguito
di contestazione giudiziale irragionevolmente sarebbe stata esclusa
lapplicabilità al
caso
di specie dellart. 1825 c.c. dettato in tema di conto corrente ordinario,
considerata
lanalogia
esistente fra le due distinte figure contrattuali (conto corrente ordinario e
bancario);
ugualmente
censurabile sarebbe lintervenuta declaratoria di nullità della clausola
contrattuale
che
disciplina la capitalizzazione degli interessi dovuti, e ciò sotto il triplice
riflesso che lart.
1283
c.c. non sarebbe applicabile al fenomeno dellannotazione in conto corrente
degli
interessi
scaduti, la disposizione non avrebbe natura imperativa, e gli usi avrebbero
carattere
normativo;
a torto la Corte di merito avrebbe ritenuto non prevista dal contratto la
commissione
di
massimo scoperto per due concorrenti ragioni, vale a dire per il fatto che
nellaccordo si
sarebbe
fatto riferimento allobbligo per il correntista di far fronte alle
commissioni, e per
effetto
delle clausole duso, evocabili ai sensi dellart. 1340 c.c., che per
lappunto deporrebbero
in
tal senso; contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, leccezione di
prescrizione sarebbe
fondata,
perché il termine iniziale di decorrenza sarebbe quello della data di ciascun
pagamento
indebito
e non quello della chiusura del rapporto contrattuale; la Corte di merito
avrebbe infine
errato
nel rigettare la domanda riconvenzionale di esso istituto di credito e nel
compensare le
spese
processuali.
Resistevano
con controricorso sia il Fallimento che Li Ci e E C, i quali proponevano anche
ricorso incidentale, con cui il primo denunciava violazione di legge e vizio di
motivazione, con riferimento alla statuizione attinente al computo della valuta
(che per effetto
del parametro adottato si tradurrebbe in ultima analisi in un addebito di
interessi passivi ultralegali), alla decorrenza degli interessi legali, il
cui termine iniziale avrebbe dovuto essere individuato dalla data di maturazione
del credito anziché dal momento di
proposizione
della domanda, come era stato stabilito, alla disposta compensazione delle spese
di
giudizio;
i secondi, analogamente, lamentavano lerroneità della decisione in relazione
ai primi
due
punti sopra considerati, attinenti rispettivamente al computo della valuta ed
alla decorrenza
degli
interessi legali, che avrebbe dovuto essere diversamente calcolata in ragione
dellassenta
mala
fede della banca.
Resisteva
con controricorso al ricorso incidentale dei resistenti la Banca, che
rilevava
linammissibilità di quello dei fideiussori, in quanto vittoriosi nel
giudizio di merito
con
riguardo al capo concernente il computo delle valute ed estranei alla
statuizione attinente
agli
interessi; linammissibilità di quello del fallimento per la decorrenza degli
interessi legali
sulla
somma oggetto di ripetizione, trattandosi di domanda nuova; linfondatezza nel
merito
delle
questioni prospettate.
La
banca proponeva inoltre con lo stesso atto ricorso incidentale condizionato,
denunciando
violazione
di legge e vizio di motivazione per lomessa considerazione degli effetti
riconducibili
alla
mancata impugnazione dellestratto conto, a suo dire preclusivi della
possibilità di
contestazione
delle operazioni materiali di accredito e di addebito.
C
e C, infine, depositavano memoria.
La
controversia veniva quindi decisa allesito delludienza pubblica del
20.1.2005.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Disposta
preliminarmente la riunione dei ricorsi ai sensi dellart. 335 c.p.c. e
prendendo
dapprima
in esame quello principale, si osserva che con il primo motivo la Banca del
Salento ha
denunciato
violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione allaffermata
infondatezza
dellistanza
formulata alludienza del 19.5.1999, con la quale era stata sollecitata la
declaratoria
di
improcedibilità della domanda proposta dal fallimento nei suoi confronti,in
ragione del fatto
che
dallavvenuta e definitiva ammissione allo stato passivo (questo, infatti, era
stato dichiarato
esecutivo
il 10.5.1999) del medesimo credito vantato dalla Banca nel presente giudizio
sarebbe
derivata
la dedotta improcedibilità per effetto dellart. 52 l.f., secondo il quale
ogni credito
azionato
nellambito fallimentare deve essere accertato ai sensi degli artt. 92 e segg.
1.f., e cioè
in
sede dì verificazione dello stato passivo.
In
particolare il citato art. 52 avrebbe stabilito una competenza funzionale del
giudice delegato a
conoscere
le ragioni di credito verso il fallito, competenza che sarebbe stata tuttavia
derogabile
nel
caso di decisione non passata in giudicato (e ciò sia nellipotesi di
accoglimento che in
quella
di rigetto della domanda), in cui il giudice delegato avrebbe il potere di
avvalersi o meno
della
sentenza non definitiva che accerta o rigetta il credito, decidendo
conseguentemente, in via
alternativa,
di impugnare o di ammettere il credito oggetto di contestazione.
Il
fatto dunque che il giudice delegato aveva ammesso al passivo del fallimento il
credito fatto
valere
dalla banca con la domanda riconvenzionale avrebbe reso priva di efficacia - e
quindi
inutile
- leventuale decisione della Corte territoriale sullesistenza o meno del
detto credito,
mentre
la necessità di una valutazione congiunta da parte del tribunale fallimentare
delle due
posizioni
creditorie fra loro antagoniste ( banca/fallimento - fallimento/banca ) sarebbe
discesa
dalla
identità del titolo delle due domande (principale e riconvenzionale) e dal
conforme
consolidato
orientamento giurisprudenziale sul punto.
La
Corte di Appello aveva però disatteso la prospettazione dellappellante
principale Banca nel presupposto che lart. 95, comma 3, dovesse essere
interpretato nel senso che, pur
restando
ferma la possibilità per il giudice delegato di impugnare la sentenza ovvero di
ammettere
il credito, tale opzione dovesse ritenersi preclusa una volta privilegiata, come
nella
specie,
la via dellimpugnazione. In detta ipotesi infatti, secondo la Corte, il
processo avrebbe
dovuto
proseguire davanti al giudice naturale, sicché il provvedimento di ammissione
sarebbe
stato
adottato dal giudice delegato in assoluta carenza di potere, e sotto questo
aspetto sarebbe
stato
da considerare tamquam non esset.
La
decisione sul punto veniva quindi censurata dalla Banca sotto diversi profili,
rispettivamente
individuati come segue: le due domande trovano legittimazione in un unico
titolo,
quella nei confronti del fallimento deve essere delibata dal giudice delegato,
lintera
controversia
deve essere conosciuta ... nella sede e secondo il rito fallimentare, in
sintonia con
lindirizzo
giurisprudenziale di questa Corte, atteso che non è consentito operare una
scissione
fra
le due opposte pretese, ed il principio deve trovare applicazione in ogni grado
di giudizio; il
provvedimento
di ammissione non sarebbe stato quindi emesso in assoluta carenza di
potere
ma,
al contrario, la sua adozione avrebbe prodotto gli effetti processuali e
sostanziali degli artt.
324
c.p.c. e 2909 c.c., trattandosi di decisione definitìva; lavvenuta
ammissione del credito
avrebbe
dovuto essere interpretata come implicita rinuncia allazione; non sarebbe
applicabile la
disciplina
dettata dallart. 95, comma 3, l.f., poiché nella specie si sarebbe trattato
di sentenza di
accertamento
e non di condanna.
Pur
essendo condivisibili alcuni dei rilievi svolti dal ricorrente, soprattutto con
riferimento
allaffermata
esclusività ed inderogabilità del foro fallimentare per quanto riguarda il
riconoscimento
dei crediti vantati nei confronti del fallito, nonché in relazione
allimproprietà
del
richiamo alla disciplina dellart. 93, comma 2, l.f., la decisione adottata
sul punto dalla Corte
di
Appello deve essere modificata solo parzialmente, vale a dire limitatamente alla
statuizione
concernente
la pretesa creditoria della banca verso il fallimento.
Ed
infatti in proposito va innanzitutto premesso che lart. 95, comma 3, l.f.,
che stabilisce la
necessità
dellimpugnazione della sentenza non passata in giudicato da cui risulti
lesistenza di
un
credito contro il fallimento, nel caso in cui il giudice delegato non ritenga di
procedere alla
sua
ammissione, non appare correttamente evocato poiché nella specie la
dichiarazione di
fallimento
era intervenuta il 10.6.1997, e quindi in epoca antecedente alla prima sentenza
non
definitiva
emessa il 25.9.1997 con la quale non era stata pronunciata alcuna condanna, ma
erano
stati
più semplicemente fissati gli indispensabili parametri, da adottare
successivamente per la
conseguente
quantificazione rimessa al prosieguo.
La
data di pubblicazione della sentenza in esame, la formulazione letterale
dellart. 95, comma
3,
che fa riferimento a credito risultante da sentenza passata in giudicato e la
stessa ratio della
disposizione,
evidentemente dettata, oltre che da esigenze di economia processuale, dalla
necessità
di evitare effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della
sentenza,
inducono
dunque a ritenere che il citato art. 95 non sia stato correttamente richiamato,
dal che
discende
anche linconsistenza della statuizione concernente lassenta incompetenza
del giudice
delegato
in ordine allammissione del credito una volta interposto appello.
Fatta
dunque questa premessa, si osserva che nella specie il giudizio era iniziato a
seguito di
domanda
proposta da società (e dai fideiussori), successivamente dichiarata fallita,
per ottenere
il
pagamento di un preteso credito, alla quale aveva quindi fatto seguito domanda
riconvenzionale
del convenuto nei confronti degli attori, fra i quali la G C
s.r.l.
allepoca
in
bonis,
per far valere a sua volta un credito basato sullo stesso titolo.
Ne
consegue pertanto, sulla base del chiaro disposto dellart. 52 l.f., che per
quanto riguarda la
domanda
della banca nei confronti della società fallita opera il rito speciale ed
esclusivo
dellaccertamento
del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. l.f., circostanza da cui discende che
la
stessa
(e non anche quindi quella rivolta contro i fideiussori) va dichiarata
improcedibile nel
giudizio
di cognizione ordinaria.
Profili
di maggiore opinabilità si presentano invece con riferimento alla domanda
contro i
fideiussori
ed a quella originariamente proposta dalla società in
bonis, rispetto
alle quali il
ricorrente
ha invocato una vis
attractiva
del foro fallimentare, in sintonia con un orientamento
giurisprudenziale
di questa Corte, per il quale, le opposte pretese derivanti dal medesimo
rapporto
contrattuale dovrebbero essere inscindibilmente devolute alla cognizione di un
unico
giudice
e quindi, per effetto della specialità del rito, trasferite nella sede
concorsuale del
procedimento
di accertamento e di verificazione dello stato passivo.
Il
rilievo è privo di pregio in quanto il simultaneus processus
non può né dare luogo ad una
deroga
al rito fallimentare né sottrarre la domanda al giudice per essa naturalmente
competente
per
devolverla al giudice fallimentare, così determinando un travisamento della
struttura logica
del
sistema concorsuale (C. S.U. 2004/21500, C. S.U. 2004/21499, C. 2003/6475, C.
2003/148).
Ciò
pertanto comporta che la declaratoria di improcedibilità va limitata alla sola
domanda
riconvenzionale
della banca nei confronti del fallimento, e non anche a quella contro i
fideiussori
ed a quella proposta in via principale dallo stesso fallimento contro
listituto di
credito.
Né
a diverse conclusioni possono indurre i due ulteriori profili di censura dedotti
dal ricorrente
principale,
secondo i quali il giudice delegato avrebbe implicitamente rinunciato
allappello con
lammissione
del credito allo stato passivo e comunque sarebbe precluso ogni ulteriore esame
sulla
domanda del fallimento, per effetto del definitivo accertamento in sede
fallimentare di un
credito
della banca derivante dallo stesso titolo azionato nel giudizio ordinario.
Quanto
al primo punto, lasserita rinuncia è stata apoditticamente prospettata, non
risulta
precedentemente
rappresentata, presuppone la formulazione di un giudizio di merito
incompatibile
con il presente giudizio, contrasta con la partecipazione attiva del fallimento
al
giudizio
di secondo grado. Sul secondo va rilevato che il provvedimento di ammissione del
credito
della banca ha efficacia endofallimentare in termini di partecipazione dei
creditori al
concorso
e pertanto, indipendentemente dalla assoluta estraneità di alcune delle parti
(vale a dire
i
fideiussori) alla relativa delibazione, lo stesso, a cognizione sommaria e
avente ad oggetto
lesistenza
del diritto concorsuale al riparto, è del tutto indifferente e privo di
efficacia diretta
nel
giudizio in corso nel quale si controverte, nella pienezza del contraddittorio,
sulla esistenza o
meno
del diritto azionato (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa
Corte).
La
limitazione della pronuncia di improcedibilità alla domanda della banca contro
il fallimento
comporta
dunque che sono suscettibili di delibazione in questa sede le ulteriori domande
proposte
nel giudizio, quella cioè del fallimento e dei fideiussori contro listituto
di credito e
quella
di questultimo contro i fideiussori, circostanza da cui discende quindi che
devono essere
comunque
esaminati gli altri motivi del ricorso principale, tenuto conto dellincidenza
sui
fideiussori
del dato relativo allesistenza o meno di una posizione debitoria della Gridi
Costruzioni
verso listituto di credito ricorrente.
Venendo
dunque al secondo motivo di ricorso, si osserva che la Banca ha poi
denunciato
violazione di legge, vizio di motivazione e nullità della sentenza per
ultrapetizione
sulla
clausola uso piazza, in relazione allaffermata inidoneità delle
modalità di
determinazione
per relationem del saggio ultralegale a dare certezza deI tasso pattuito.
Più
precisamente, e innanzitutto, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto infondata
leccezione
di
extrapetizione sul punto, atteso che latto di citazione non avrebbe contenuto
alcuno specifico
riferimento
alla violazione dellart. 1284, che sarebbe stata invece denunciata solo nel
prosieguo
del
giudizio.
Inoltre,
venendo al merito, ricorrerebbero le condizioni per la riforma della decisione
impugnata,
essenzialmente per le seguenti concorrenti ragioni: lesclusione di qualsiasi
intervento
della banca nella concreta determinazione del tasso contrasterebbe con la
funzione di
intermediaria
ad essa assegnata; la portata reale della clausola uso piazza avrebbe
dovuto
essere
ricostruita non solo sulla base del contenuto letterale dellart. 7 delle
condizioni
contrattuali,
ma anche del disposto dellart. 16, che prevede una riserva in favore della
banca per
la
modifica delle condizioni regolanti il rapporto, oltre che delle prassi
comportamentali seguite
dalle
parti ai sensi degli artt. 1362, comma 2, 1363 c.c.; il potere di intervento
della banca nella
determinazione
del tasso sarebbe riconducibile allart. 1349 c.c. nonostante la sua qualità
di
parte
e non di terzo, poiché le relative espressioni sarebbero comunque suscettibili
di sindacato
da
parte dellautorità giudiziaria, ove sollecitata a tal fine; sarebbe stata
erroneamente esclusa
lapplicabilità
al conto corrente bancario dellart. 1825 c.c., che si riferisce al conto
corrente
ordinario,
essendo ricavabile la regolamentazione del primo da disposizioni dettate per il
secondo,
attesa lanalogia fra le due figure contrattuali.
Le
doglianze sono infondate, rispettivamente in quanto: a) la questione
dellultrapetizione era
già
stata oggetto di specifica attenzione nei motivi di impugnazione, e la Corte di
Appello ne
aveva
affermato linconsistenza rilevando come a pagina 13 delloriginario atto di
citazione gli
attori
avessero enunciato le ragioni di nullità della clausola concernente gli
interessi ad uso
piazza
richiamando la disposizione a loro avviso applicabile (art. 1284, comma 3, c.c.)
ed
individuando
inoltre nella insufficienza del criterio per relationem
la carenza del parametro
adottato
per la determinazione del tasso. Su questo punto nulla ha dedotto il ricorrente,
che si è
sostanzialmente
limitato a richiamare, con enunciazione generica, quanto già precedentemente
lamentato,
per cui il profilo di censura rappresentato deve essere disatteso.
b)
La pretesa contraddizione ravvisata fra la funzione di intermediaria assegnata
alla banca e
laffermata
impossibilità di un suo diretto intervento per la determinazione del tasso è
enunciata
in
termini generici ed è di per sé inidonea ad individuare lassenta erroneità
dei profili
argomentativi
svolti sul punto dalla Corte territoriale.
c)
la Corte di merito ha preso in esame gli artt. 7 e 16 del contratto, ritenendo
che la previsione
del
combinato disposto delle due clausole non consentisse di precisare alcun
elemento
estrinseco
di riferimento idoneo a garantire una sicura determinabilità degli interessi,
per cui la
diversa
interpretazione suggerita avrebbe dovuto essere sorretta dalla denuncia dei
canoni
ermeneutici
asseritamente violati, con lindicazione dei profili di erroneità
riscontrati;
d)
la Corte di Appello aveva ritenuto non pertinente il richiamo della banca
allart. 1349 c.c. a
sostegno
della legittimità dì un suo intervento finalizzato alla determinazione del
tasso, sotto un
duplice
profilo testuale e logico; quanto al primo, perché la norma richiama la
possibilità di
deferire
solo al terzo la determinazione della prestazione, quanto al secondo, perché la
funzione
equilibratrice
demandata allarbitratore presuppone la sua posizione di terzietà ed esclude
che la
stessa
possa essere correttamente svolta da colui che è titolare di un proprio
interesse in
contrasto
con quello dell altro.
A
fronte delle dette argomentazioni il ricorrente ha proposto una interpretazione
alternativa
dellart.
1349, essenzialmente basata: sulla possibilità dell adozione di correttivi
in sede
giudiziaria
rispetto alle determinazioni dellarbitratore parte; sulle funzioni svolte
dalla banca
sul
mercato; sulla necessità, per i contratti di durata, di prevedere il rinvio
alle condizioni di
mercato.
Tuttavia non ha rappresentato né le ragioni per le quali le non condivise
affermazioni
della
Corte territoriale configurerebbero violazioni di legge o sarebbero viziate
nella
motivazione,
né i profili di erroneità sotto tale riflesso riscontrati.
e)
la Corte territoriale ha ritenuto improprio il richiamo allart. 1825 c.c. in
ragione del fatto che
la
norma si riferisce al conto corrente ordinario, e non a quello di conto corrente
bancario; che
questultimo
contratto è connotato da autonomia strutturale e funzionale rispetto al primo;
che
nellart.
1857 c.c., contenente disposizioni integrative alla disciplina delle operazioni
bancarie in
conto
corrente con rinvio agli artt. 1826, 1829, 1832 c.c.., non è contenuto alcun
riferimento al
citato
art. 1825.
Si
tratta di rilievi del tutto esatti e pertinenti, rispetto ai quali il ricorrente
si è limitato ad
invocare
lastratta possibilità del ricorso allanalogia in ragione di una pretesa
comune
caratteristica
strutturale e funzionale dei due contratti in questione, senza indicare né i
profili di
erroneità
in cui sarebbe incorsa la Corte, né la lacuna di disciplina normativa che, ai
fini della
decisione
della controversia, sarebbe stato necessario colmare mediante lutilizzazione
del
procedimento
analogico previsto dallart. 12 disp. prel. c.c.
Con
il terzo motivo di impugnazione la Banca ha denunciato violazione di legge in
relazione
alla intervenuta declaratoria di nullità della clausola del conto corrente che
disciplina
la
capitalizzazione degli interessi dovuti dal correntista G C srl.
In
particolare la statuizione sul punto sarebbe viziata sotto un triplice riflesso,
e cioè: a) per
linapplicabilità
della fattispecie delineata dallart. 1283 c.c. al fenomeno dellannotazione
in
conto
corrente degli interessi scaduti; b) per laffermata natura imperativa della
detta
disposizione,
da cui sarebbe derivata la nullità delle pattuizioni ad essa contrarie; c) per
la
negata
esistenza di usi normativi idonei a derogare alla disciplina in tema di
anatocismo, ai sensi
dellart.
1283 c.c.
La
doglianza va disattesa per le seguenti considerazioni: sub a).
Linapplicabilità dellart. 1283
deriverebbe
dal fatto che la somma di cui il correntista può disporre ai sensi dellart.
1852 cc.,
c.d.
saldo disponibile, sarebbe costituito sia dalle somme depositate che da quelle
tenute a
disposizione
dalla Banca, sicché lannotazione in conto corrente di qualsiasi posta
costituirebbe
il
mezzo attraverso il quale le parti regolano le reciproche obbligazioni,delle
quali
rappresenterebbe
una modalità di adempimento, e la stessa ravvisata fattispecie della produzione
di
interessi su interessi scaduti non sarebbe quindi neppure ipoteticamente
configurabile.
La
detta prospettazione non è tuttavia condivisibile perché gli interessi nelle
obbligazioni
pecuniarie,
quale quella in oggetto, si determinano su crediti liquidi ed esigibili di somme
di
denaro
(art. 1282 c.c.), lestratto conto si intende approvato se non contestato
(art. 1832
richiamato
dallart. 1857 c.c.) ed è quindi da tale data che sono computabili gli
interessi sul
debito
esistente. Da ciò discende pertanto linconsistenza, sotto il profilo
normativo, della
ricostruzione
suggerita dal ricorrente, ricostruzione che avrebbe una valenza rilevante
esclusivamente
in via, astratta e prescindendo dal rapporto concretamente considerato, posto
che
la
Corte di Appello ha in punto di fatto accertato che la pretesa creditoria della
banca era stata
formulata
con il computo degli interessi sugli interessi scaduti in violazione dellart.
1283 e la
relativa
statuizione è stata oggetto di censura esclusivamente in relazione alla
differente
imputabilità
delle somme asseritamente dovute (poiché non ascritte al debito per gli
interessi),
senza
alcun riferimento alla pretesa erroneità dei criteri di determinazione
dellammontare del
credito.
Sub b). La Corte di appello ha evidenziato come nella specie pacificamente
trattasi di
disposizione
di carattere imperativo e di natura eccezionale, in sintonia con un
consolidato
indirizzo
di questa Corte di legittimità fra le altre si richiamano C. 2003/13739, C.
2001/5675,
C.
2000/5286, C. 199/2374, C. 1977/1724), mentre la censura è incentrata sulla
irragionevolezza
di una interpretazione legittimante deroghe soltanto da parte dì usi normativi
anteriori
al 1942, censura basata su diversa ricostruzione della normativa anziché sui
profili di
erroneità
riscontrabili nella difforme decisione del giudice del merito. Sub c). Gli usi
nei quali
troverebbe
fondamento nel caso di specie la disciplina degli interessi anatocistici
avrebbero
natura
normativa e non negoziale, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di
Appello.
La
questione è stata specificamente affrontata da questa Corte che, con
motivazione del tutto
condivisibile
alla quale pertanto più compiutamente si rinvia (C. S.U. 2004/21095, C.
2003/13739,
C. 2003/12222, C. 2003/2593), ha ravvisato la natura pattizia delle cosiddette
norme
bancarie uniformi predisposte da al riguardo, in considerazione sia del mancato
accertamento
da parte della Commissione speciale permanente presso il Ministero
dellIndustria
dellesistenza
di un uso normativo generale di contenuto corrispondente alla clausola in
questione,
sia dellimpossibilità di individuare nei soggetti contraenti con le banche
latteggiamento
psicologico di spontanea adesione ad un precetto giuridico (opinio
iuris ac
necessitatis).
Ne
discende dunque che non ricorrono le condizioni idonee a legittimare una deroga
al dettato
dellart.
1283 c.c. e, conseguentemente, che correttamente è stata dichiarata la nullità
della
clausola
in contestazione.
Con
il quarto motivo la Banca si è doluta dellaffermazione contenuta nella
sentenza
impugnata
secondo cui la commissione di massimo scoperto non sarebbe stata
contrattualmente
prevista,
per cui non avrebbe dovuto essere applicata. La statuizione sarebbe infatti
viziata per
violazione
di legge e carenza di adeguata motivazione, tenuto conto del fatto che lart.
1826 c.c.
stabilisce
che i detti diritti sono inclusi nel conto, salva convenzione contraria, che le
clausole
duso
sono inserite nel contratto se non risulta volontà contraria delle parti, che
esiste
consolidata
prassi contrattuale nel senso prospettato da esso ricorrente.
Il
rilievo non ha pregio perché la clausola non era prevista nel contratto (p. 27
della sentenza di
secondo
grado), il giudice di appello ha giudicato inidonee le norme bancarie uniformi e
le
istruzioni
della Banca dItalia a disciplinare il rapporto in esame e la decisione non è
stata
censurata,
non risulta sia stata data prova dellesistenza delluso richiamato, la
genericità del
richiamo
non consentirebbe di determinare esattamente loggetto della relativa
obbligazione,
con
gli effetti conseguenti in ordine alla sua validità.
Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente ha sostenuto che,
contrariamente alla
decisione adottata sul punto dalla Corte territoriale che ha
rigettato la relativa eccezione, la
decorrenza del termine decennale di prescrizione per il reclamo da
parte del correntista delle
somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati in
misura ultralegale senza
valida pattuizione dovrebbe iniziare dalla data in cui ciascun
pagamento è stato effettuato,
trattandosi di azione di ripetizione di tanti indebiti oggettivi
quanti sono i pagamenti effettuati in
esecuzione delle clausole impugnate.
Lassunto è in contrasto con la condivisa giurisprudenza di questa
Corte (C. 2004/5720, C.
1998/3783, C.1984/2262, C. 1956/2488), che ha valorizzato il legame
intercorrente fra una
pluralità di atti esecutivi in virtù dellunicità del rapporto
giuridico derivante da un contratto
unitario, e pertanto deve essere disatteso.
Analogamente
deve infine dirsi con riferimento allultimo motivo di ricorso, con il quale
il
giudice
di appello ha compensato le spese del relativo giudizio, tenuto conto
dellesito negativo
dellappello
principale proposto da esso ricorrente.
Passando
quindi allesame dei ricorsi incidentali, si osserva, per quanto riguarda
quello dei
fideiussori
C e C, che lo stesso è inammissibile, atteso lesito del giudizio di
appello
nel quale sono risultati vittoriosi, considerato che è stata accolta la loro
domanda nei
confronti
della Banca, e per leffetto dichiarato che nulla era da essi dovuto
allistituto
di credito convenuto.
In
ordine invece a quello del fallimento G C srl, va rilevato che sono stati
articolati tre
distinti
motivi, con i quali è stato innanzitutto lamentato violazione di legge e vizio
di
motivazione
in relazione alla decisione di rigetto della domanda di nullità della clausola
sulladdebìto
delle valute, che a dire dellappellante avrebbe dovuto decorrere dalla data
di
emissione
(o di negoziazione nel caso di postdatazione), questione cui sarebbe stata
successivamente
agganciata quella relativa alla data degli accrediti.
Più
precisamente la detta decisione era stata adottata, con riferimento agli
addebiti, per la
mancanza
di norme o di usi in senso contrario cui pure il ricorrente avrebbe subordinato
la
legittimità
del computo effettuato e, in relazione agli accrediti, per la tardività della
prospettazione,
asseritamente non trattata con lappello incidentale, nel quale si sarebbe
dato
atto
dellassenza di pattuizioni sul punto senza peraltro provvedere alla
segnalazione di alcun
colpevole
ritardo conseguente.
La
sua erroneità, secondo il ricorrente, dipenderebbe poi dal fatto che la
questione delle valute
sarebbe
stata congruamente affrontata (pp. 3, 4, 5, 13, 14, 15 dellatto di citazione,
pp. 74, 75,
76,
77 dellatto di appello incidentale), che non sarebbe stato tenuto debito
conto delle
valutazioni
compiute in proposito dal consulente di parte, che non si sarebbe considerato
che il
gioco
delle valute è
contrario agli obiettivi della trasparenza e si tradurrebbe in
ultima analisi
in
un addebito di interessi passivi ultralegali.
Le
doglianze sono infondate perché la Corte di Appello ha affrontato separatamente
le due
diverse
questioni concernenti la decorrenza degli addebiti e degli accrediti, adottando
per
ciascuna
di esse una differente motivazione a sostegno della identica decisione di
rigetto (per
laddebito
la clausola negoziale non contrasterebbe con alcuna norma, né la sua validità
presupporrebbe
la preesistenza di un uso normativo in tal senso, per laccredito la questione
non
sarebbe
stata trattata con latto di impugnazione, nel quale lindicazione relativa
allassenza di
pattuizioni
sul punto non sarebbe stata affiancata né dalla segnalazione di ritardi
colpevoli
nellaccreditamento
da parte della banca, né comunque da alcuna conclusione al riguardo),
profili
che sono stati censurati soltanto con il richiamo allirregolare computo delle
valute
(senza
ulteriori precisazioni in ordine alle conseguenti domande asseritamente
mancanti) che
esso
ricorrente avrebbe operato nelle diverse difese prodotte nel giudizio di merito,
alle
valutazioni
compiute in proposito dal consulente di parte, al parallelismo tra gli effetti
prodotti
da
tale irregolare computo e quelli derivanti dalla violazione dellart. 1284
c.c., e quindi in
modo
del tutto generico rispetto alle sopra citate rationes
decidendi
sulle quali la Corte ha
basato
la propria determinazione sul punto.
Con
il secondo motivo di ricorso il fallimento ha poi denunciato vizio di
motivazione in
relazione
al computo degli interessi dalla domanda al soddisfo sulla somma di £.
376.375.436
che
la banca è stata condannata a pagare in suo favore, decorrenza che viceversa a
suo dire
avrebbe
dovuto essere indicata a far tempo dalla data di maturazione del credito, e ciò
in virtù
sia
del dettato normativo di cui allart. 1282 c.c., per il quale i crediti
liquidi ed esigibili di
somme
di denaro producono interessi di pieno diritto, che delle previsioni
contrattuali, posto che
ai
sensi dellart. 821 c.c., in mancanza di diversa pattuizione delle parti, gli
interessi ed i frutti
civili
si acquistano giorno per giorno.
La
Banca ha rilevato linammissibilità del detto motivo assumendo trattarsi di
domanda
nuova, prospettazione che non può però essere condivisa, attesa la generica
formulazione
della richiesta adottata dal ricorrente incidentale in sede di precisazione
delle
conclusioni
nel giudizio di appello, quali desumibili dallepigrafe della sentenza
impugnata
(oltre
interessi dalla maturazione al saldo).
La
doglianza tuttavia va disattesa nel merito poiché, trattandosi di pagamento
indebito, gli
interessi
sono dovuti dal giorno del pagamento soltanto se chi lo ha ricevuto era in mala
fede
(art.
2033 c.c.), condizione la cui esistenza presuppone un accertamento di merito
implicitamente
effettuato in termini negativi dalla Corte di Appello, e comunque incompatibile
con
il presente giudizio di legittimità.
Con
il terzo motivo, infine, il fallimento si è doluto della disposta compensazione
delle spese
processuali
in ragione della pretesa fondatezza delle argomentazioni svolte, doglianza che
va
accolta
tenuto conto della constatata improcedibilità della domanda proposta dalla
banca nei
suoi
confronti.
Il
rigetto del primo motivo del ricorso incidentale comporta lassorbimento di
quello incidentale
condizionato
articolato dalla Banca con riferimento allassenta approvazione tacita
degli
estratti conto, approvazione dalla quale sarebbe derivata una preclusione in
ordine alle
contestazioni
astrattamente proponibili al riguardo.
Conclusivamente,
la domanda di questultima nei confronti del fallimento va dichiarata
improcedibile
e conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto senza
rinvio;
il ricorso incidentale dei fideiussori va dichiarato inammissibile; il ricorso
principale e
quello
incidentale del fallimento devono essere rigettati.
Quanto
alle spese processuali, dallimprocedibilità della domanda formulata contro
il fallimento
e
dalla spiccata rilevanza sotto il profilo quantitativo e qualitativo delle
questioni - disattese -
sollevate
dalla banca nel presente giudizio rispetto a quelle dedotte dal fallimento
discende che
le
stesse vanno poste a carico della Banca, nella misura indicata in dispositivo.
Le
spese
devono invece essere compensate per quanto concerne il rapporto banca
-fideiussori,
attesa
la dichiarata inammissibilità del ricorso di questi ultimi.
P.Q.M.
Riunisce
i ricorsi. Dichiara improcedibile la domanda della Banca nei confronti del
fallimento
. e per leffetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella
parte
in cui pronuncia sulla detta domanda; dichiara inammissibile il ricorso
incidentale dei
fideiussori;
rigetta il ricorso principale e quello incidentale del
fallimento;
condanna la Banca al pagamento delle spese processuali sostenute dal
fallimento
nel giudizio di secondo grado e in quello in oggetto; dichiara compensate le
spese
processuali
nei confronti dei fideiussori.
Liquida
le spese in favore del fallimento in Euro 7.100, di cui Euro 100 per esborsi,
per il
presente
giudizio e in Euro 7.500, di cui Euro 600 per esborsi per quello di appello
oltre, per
entrambe
le liquidazioni, accessori di legge.
Roma,
20.1.2005
Il
Presidente Giammarco CAPPUCCIO
Il consigliere relatore Carlo PICCININNI
III.
Cassazione Civile, sez. U., sent. n. 21095 04-11-2004
Banca
Spa c. xxxxx
Svolgimento
del processo
La
banca spa ha impugnato per
cassazione la sentenza in data 15 gennaio 2001, con
la
quale la Corte di appello di Cagliari, in riforma della pronunzia di primo
grado, ha accolto la
opposizione
proposta da xxx avverso il decreto ingiuntivo su sua istanza.
emesso
nei confronti dei due predetti intimati, quali fideiussori della yyy Spa, per
l'importo
complessivo
di lire 1.097.415.300 (ed accessori), corrispondente al saldo passivo finale del
conto
corrente sul quale sarebbero state effettuate plurime erogazioni di credito in
favore della
società
garantita.
Con
le quattro complesse serie di motivi, di cui si compone l'odierno ricorso - la
cui
ammissibilità
e fondatezza è contestata dagli intimati con separati controricorsi la
Banca
critica
in sostanza la Corte di merito per avere, a suo avviso, errato:
a)
nel rilevare di ufficio profili di nullità del contratto da cui trae origine il
debito garantito dagli
attuali
resistenti;
b)
nell'escluderne, in particolare, la validità in relazione alla clausola di
capitalizzazione
trimestrale
degli interessi, anche per il periodo anteriore alle note pronunzie della
primavera
del
1999 (nn. 2374 del 16 marzo, n. 3096 del 30 marzo e successive conformi che, in
contrasto
con la precedente giurisprudenza, hanno escluso la rispondenza di clausole
siffatte ad
un
"uso normativo ai sensi dell'articolo 1283 Cc;
c)
nel ritenere, inoltre, non operative le garanzie prestate dagli Stefana per il
periodo
successivo
alla data (9 luglio 1992) di entrata in vigore della legge 154/92, che ha
prescritto la
fissazione
di un tetto massimo per la validità delle fideiussioni omnibus;
d)
nell'escludere, infine, la debenza dell'intero credito, azionato con il decreto
opposto, per
ritenuta
(a torto) carenza di documentazione, imputabile all'istituto, che consentisse di
scorporare
dall'importo preteso in via monitoria quello riferibile a periodo di operatività
della
fideiussione
e detrarre, dallo stesso, le voci relative alla capitalizzazione periodica degli
interessi.
Su
istanza della parte ricorrente, il primo Presidente ha assegnato la causa alle
Su, ravvisando,
in
quella sub b), questione di massima di particolare importanza.
Motivi
della decisione
1.
La questione di massima, in ragione della cui particolare importanza gli atti
della presente
causa
sono stati rimessi a queste Su, ai sensi dell'articolo 374, cpv, Cpc si risolve
nello stabilire
se
- incontestata la non attualità di un uso normativo di capitalizzazione
trimestrale degli
interessi
a debito del correntista bancario - sia o non esatto escludere anche che un
siffatto uso
preesistesse
al nuovo orientamento giurisprudenziale (Cassazione 2374/99 e successive
conformi)
che lo ha negato, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con la
precedente
giurisprudenza.
2.
È, per altro, preliminare all'esame della riferita questione, quello delle
eccezioni pregiudiziali
-
sollevate, rispettivamente, da xxx - di inammissibilità del ricorso "per
difetto
di specialità della procura alle liti e "per intervenuto giudicato
formale sulla sentenza
parziale
resa dalla Corte di Cagliari nel corso del giudizio a quo.
2.1.
La prima eccezione - con cui il difetto di specialità, per "assenza di
riferimento al giudizio
per
cassazione e alla sentenza impugnanda, è (impropriamente), in particolare,
riferito, non
già
alla procura rilasciata al difensore (che tali riferimenti puntualmente, invece,
contiene), ma
all'atto
fonte dei poteri del soggetto che detta procura ha conferito - è infondata. Si
deduce,
infatti,
in sostanza, dal resistente che la procura speciale non sia nella specie
riferibile - come
ex
articolo 365 Cpc viceversa dovrebbe - alla parte od a chi ha il potere di
rappresentarla, in
quanto
sottoscritta "da un dirigente e non dal legale rappresentante della banca
ricorrente.
E tale rilievo non coglie nel segno, dacché il dirigente dell'ente -
contrariamente
all'avverso
assunto - ha conferito il mandato alla odierna impugnazione nella veste appunto
di
"legale
rappresentante della banca, così (correttamente) spesa sulla base dello
Statuto
dell'ente
che, all'articolo 29, testualmente prevede che «la rappresentanza anche [e
quindi:
non
solo] processuale della società spetta disgiuntamente al Presidente, ai Vice
Presidenti ...
nonché
ai dirigenti ... con facoltà di designare mandatari speciali per il compimento
di
determinate
operazioni e di nominare avvocati munendoli degli opportuni poteri».
2.2.
Del pari destituita di fondamento è anche l'ulteriore eccezione di
"giudicato formale
interno,
che tale vis preclusiva pretende, con evidente forzatura, di conferire
all'ordinanza (del
31
maggio 1999), con la quale la Corte di merito - in via istruttoria e strumentale
alla
decisione,
non certo decisoria - si è limitata invece a nominare un Ctu per l'espletamento
di
una
perizia contabile, volta ad accertare, sulla base degli atti, le singole voci
(tra cui quella
relativa
alla capitalizzazione degli interessi) da cui risultava il complessivo importo
per cui la
Banca
aveva agito in via monitoria.
3.
Precede ancora, a questo punto, l'esame del primo motivo del ricorso, con il
quale si
denunzia
la violazione degli articoli 112, 101, 345 Cpc, in relazione all'articolo 1421
Cc, in cui si
assume
essere incorsa la Corte di appello nel rilevare di ufficio la nullità della
clausola
anatocistica.
Atteso che, con tal mezzo, si introduce un tema di indagine logicamente
preliminare,
e virtualmente assorbente, rispetto a quello sostanziale sulla validità o meno
della
clausola
stessa nel periodo che qui viene in rilievo.
Il
vizio in procedendo, così prospettato, ad avviso di questo Collegio, però, non
sussiste. La
nullità
della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi (tardivamente
dedotta dalle
parti
solo in comparsa conclusionale), effettivamente è stata, infatti, rilevata
"di ufficio nella
fase
di gravame. Ma ciò la Corte di Cagliari ha fatto in corretta applicazione del
principio per cui
la
nullità, in tutto o in parte, del contratto posto a base della domanda può
essere rilevata,
appunto,
di ufficio,anche per la prima volta in appello (cfr. Cassazione 2772/98).
È
pur vero, per altro, che il potere che il citato articolo 1421 conferisce in tal
senso al giudice
(in
ragione della tutela di valori fondamentali dell'ordinamento giuridico) va
coordinato con il
principio
della domanda, di cui agli articoli 99 e 112 Cpc, e che le esigenze a tali
principi
sottese
- rispettivamente di verifica delle condizioni di fondatezza della azione e di
immodificabilità
della domanda - possono trovarsi tra loro in contrasto ove, in particolare, alla
pretesa
di una parte relativa ad un credito ex contractu si contrapponga l'eccezione di
nullità,
dell'altra,
che il giudice ritenga (come nella specie) di integrare con il rilievo di
aspetti della
patologia
del negozio che la parte, interessata alla improduttività dei correlativi
effetti, non
abbia
colto (o non abbia tempestivamente comunque dedotto).
Ma
un tale contrasto si risolve sulla base della considerazione che, se da un lato,
il poteredovere
decisionale
del giudice, in relazione alla domanda proposta, si estende agli aspetti della
inesistenza
o della nullità del contratto dedotto dall'attore, la deduzione in tal senso
del
convenuto
non può costituire, od essere considerata, domanda giudiziale, non ponendosi in
rapporto
genetico con il potere-dovere decisionale del giudice sul punto, che già
esiste. Sia
impostata
quella deduzione come eccezione, come domanda riconvenzionale per la
declaratoria
di
nullità, o come motivo di gravame, si tratta pur sempre di mera difesa,
attenendo
all'inesistenza,
per mancato perfezionamento o per nullità, del fatto giuridico, il contratto,
dedotto
dall'attore a fondamento della domanda, che dunque non condiziona l'esercizio
del
potere
officioso di rilievo della nullità fondata su aspetti distinti di patologia
negoziale
(Cassazione
5341/84). Nella specie deve farsi riferimento alla domanda iniziale, proposta in
via
monitoria
dalla banca, la quale, se pur rivolta nei confronti dei fideiussori, ha comunque
ad
oggetto il pagamento del saldo del contratto di conto corrente, stipulato dal
debitore
principale.
Per
cui, appunto, non vale a paralizzare la rilevabilità, da parte del giudice, dì
aspetti di nullità
di
quel contratto il fatto che gli intimati (aventi veste sostanziale di convenuti
nel giudizio di
opposizione
a decreto ingiuntivo) abbiano focalizzato, in particolare, le loro difese su
profili, di
invalidità
ed inoperatività della fideiussione, da essi prestata. E ciò a prescindere
dalla
considerazione
che, eccependo comunque anche l'inesistenza di valida prova del credito contro
di
loro azionato, i fideiussori hanno con ciò contestato in radice lo stesso
debito principale.
4.
Può ora passarsi all'esame della questione di massima di cui retro, sub 1.
4.1.
Il parametro di riferimento è costituito dall'articolo 1283 del Cc (Anatocismo)
e, in
particolare,
dall'inciso "salvo usi contrari che, in apertura della norma,
circoscrive la portata
della
regola, di seguito in essa enunciata, per cui «gli interessi scaduti possono
produrre
interessi
[(a)] solo dalla domanda giudiziale o [(b)] per effetto di convenzione
posteriore alla
loro
scadenza, e sempre, che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi».
4.2.
Come è noto, in sede di esegesi della predetta norma, le richiamate sentenze
(2374,
3096,
3845) della primavera del 1999, ponendosi in consapevole e motivato contrasto
con
pronunzie
del ventennio precedente (6631/81; 5409183; 4920/87; 3804/88; 2444/89;
7575/92;
9227/95; 3296/97; 12675/98), hanno enunciato il principio - reiteratamente, poi,
confermato
dalle successive sentenze 12507/99; 6263/01; 1281, 4490, 4498, 8442/02; 2593,
12222,
13739/03, ed al quale ha dato comunque immediato riscontro anche il legislatore
(che,
con
l'articolo 25 del D.Lgs 342/99 ha, all'uopo, ridisciplinato le modalità di
calcolo degli
interessi
su base paritaria tra banca e cliente) (principio) per cui gli "usi
contrari, idonei ex
articolo
1283 Cc a derogare il precetto ivi stabilito, sono solo gli usi
"normativi in senso
tecnico;
desumendone, per conseguenza, la nullità delle clausole bancarie anatocistiche,
la cui
stipulazione
risponde ad un uso meramente negoziale ed incorre quindi nel divieto di cui al
citato
articolo 1283.
4.3.
Al di là di varie ulteriori argomentazioni, di carattere storico e sistematico,
rinvenibili nelle
pronunzie
del nuovo corso, destinate più che altro ad avvalorare il "revirement
giurisprudenziale,
emerge dalla motivazione delle pronunce stesse come, nel suo nucleo logico-
giuridico
essenziale l'enunciazione del principio di nullità delle clausole bancarie
anatocistiche si
ponga
come la conclusione obbligata di un ragionamento di tipo sillogistico. La cui
premessa
maggiore
è espressa, appunto, dalla affermazione che gli "usi contrari,
suscettibili di derogare
al
precetto dell'articolo 1283 Cc, sono non i meri usi negoziali di cui
all'articolo 1340 Cc ma
esclusivamente
i veri e propri "usi normativi, di cui agli articoli 1 e 8 disp. prel.
Cc, consistenti
nella
ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato
comportamento
(usus),
accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da
un
mero
arbitro soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una
norma che
già
esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opinio juris
ac
necessitatis).
E
la cui premessa minore è rappresentata dalla constatazione che «dalla comune
esperienza
emerge
che i clienti si sono nel tempo adeguati all'inserimento della clausola
anatocistica non
in
quanto ritenuta conforme a norme di diritto oggettivo già esistenti o che
sarebbe auspicabile
fossero
esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli
istituti
di
credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria,
insuscettibili di
negoziazione
individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto
indefettibile
per accedere ai servizi bancari.
Atteggiamento
psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in
cui,
sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis, se non altro per
l'evidente disparità
di
trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e
interessi
dovuti
dal cliente».
4.4.
Ora di questo sillogismo, che costituisce la struttura portante del nuovo
indirizzo, del quale
si
sollecita il riesame, neppure la banca ricorrente mette in discussione la
premessa maggiore,
mentre
quanto alla sua premessa minore la contestazione che ad essa si muove, attiene,
sul
piano
diacronico, al solo profilo della portata retroattiva che il nuovo indirizzo ha
inteso
attribuire
alla rilevata inesistenza di un uso normativo in materia di capitalizzazione
trimestrale
degli
interessi bancari. Si sostiene, infatti, in contrario che la giurisprudenza del
99 abbia
correttamente
accertato l'inesistenza attuale, ma erroneamente escluso l'esistenza pregressa
della
consuetudine in parola.
E
si auspica per ciò, dunque, che essa vada superata nel senso di constatare che
«la
convinzione
degli utenti del servizio bancario della normatività dell'uso di
capitalizzazione
trimestrale
degli interessi, originariamente sussistente, è venuta meno dopo lungo tempo»
[id
est:
la consuetudine si è estinta per desuetudine in relazione al venire meno della
opinio iuris
del
comportamento sottostante] «proprio a seguito di quello stesso processo di
mutamento di
prospettiva
che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il proprio precedente
orientamento».
Ed
a sostegno di tale assunto la difesa della ricorrente argomenta: a) che l'opinio
iuris della
prassi
di capitalizzazione degli interessi dovuti dal cliente sarebbe stata esclusa
dalla criticata
giurisprudenza
assumendo a parametro un quadro normativo, come evolutosi a partire dai
primi
anni 90, non certo retrodatabile all'epoca in cui, in un contesto
radicalmente diverso,
quella
prassi si era instaurata, con adesione degli utenti dei servizi bancari, che ne
avrebbero
pienamente
presupposto la normatività; b) che, comunque, la stessa precedente
giurisprudenza
che per un ventennio aveva reiteratamente ritenuto, ove pur erroneamente,
l'esistenza
di un uso normativo di capitalizzazione degli interessi bancari avrebbe, per ciò
stesso,
costituito "elemento di fondazione o consolidazione dell'uso stesso.
Nessuno dei riferiti,
pur
suggestivi, argomenti si lascia però condividere.
4.5. L'evoluzione
del quadro normativo - impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione
degli
anni 90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di
protezione del
contraente
più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della
trasparenza
bancaria,
della disciplina dell'usura ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare
la
ribellione
del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement
giurisprudenziale)
relativamente
a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi
dovuti
alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di
trattamento imposta
dal
contraente forte in danno della controparte più debole.
Ma
ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in
precedenza, prassi
siffatte
fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione
(opinio
iuris),
venissero accettate dai clienti. Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni
anatocistiche,
come
clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli
istituti di credito,
in
conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte
dalla parte che
aveva
necessità di usufruire del credito bancario e non aveva. quindi, altra
alternativa per
accedere
ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la
riconducibilità,
ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in
questione,
ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque
con il
precetto
dell'articolo 1283 Cc), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e
successive.
4.6.
Né è in contrario sostenibile che la "fondazione di un uso normativo,
relativo alla
capitalizzazione
degli interessi dovuti alla banca, sia in qualche modo riconducibile alla stessa
giurisprudenza
del ventennio antecedente al revirement del 1999. Anche in materia di usi
normativi,
così come con riguardo a norme di condotta poste da fonti-atto di rango
primario, la
funzione
assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi decisori, non può
essere altra
che
quella ricognitiva, dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche
una funzione
creativa,
della regola stessa.
Discende
come logico ed obbligato corollario da questa incontestabile premessa che, in
presenza
di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea
nel
presupporre
l'esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva
debba
avere
una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione
medio
tempore
di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenza che,
erroneamente
presupponendola,
l'avrebbero con ciò stesso creata.
Ciò
vale evidentemente, nel caso di specie, anche con riguardo alla giurisprudenza
(costituita,
per
altro, da solo dieci tralaticie pronunzie nell'arco di un ventennio) su cui fa
leva l'istituto
ricorrente.
La quale - a prescindere dalla sua idoneità (tutta da dimostrare e in realtà
indimostrata)
ad ingenerare nei clienti una "opinio iuris del meccanismo di
capitalizzazione
degli
interessi, inserito come clausola insuscettibile di negoziazione nei controlli
stipulati con la
banca
- non avrebbe potuto, comunque, conferire normatività ad una prassi negoziale
(che si è
dimostrato
essere) contra legem.
4.7.
Della insuperabile valenza retroattiva dell'accertamento di nullità delle
clausole
anatocistiche,
contenuto nelle pronunzie del 1999, si è mostrato subito, del resto, ben
consapevole
anche il legislatore. Il quale - nell'intento di evitare un prevedibile diffuso
contenzioso
nei confronti degli istituti di credito - ha dettato, nel comma 3 dell'articolo
25 del
già
citato D.Lgs 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validità ed
efficacia
alle
clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari
stipulati
anteriormente
alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui
ai
precedenti
commi primo e secondo del medesimo articolo 25.
Quella
norma di sanatoria è stata, però, come noto, dichiarata incostituzionale, per
eccesso di
delega
e conseguente violazione dell'articolo 77 Costituzione, dal Giudice delle leggi,
con
sentenza
n. 425 del 2000.
L'eliminazione
ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti
delle
clausole
già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la
successione delle
leggi
nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua
delle quali,
per
quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché
stipulate in
violazione
dell'articolo 1283 Cc (cfr. Cassazione 4490/02).
4.8.
Sul punto della rilevata nullità della clausola anatocistica inserita nel
contratto da cui
deriva
il credito azionato in via monitoria dall'istituto, la sentenza impugnata
resiste dunque a
censura.
5.
Non diverso esito hanno anche le residue due doglianze formulate dalla banca
ricorrente.
5.1.
In particolare la denuncia di violazione degli articoli 1367 Cc e 10 legge
154/92 - con la
quale
si addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente escluso che per le
fideiussioni
stipulate
in data anteriore alla legge 154 cit. il tetto massimo di garanzia, che ne
condiziona
l'ulteriore
validità, possa essere anche "unilateralmente fissato dalla Banca, come
nella specie,
l'istituto
in concreto avrebbe fatto con lettera del 1976 - si scontra contro
l'accertamento in
fatto,
operato dai giudici a quibus, quanto alla riferibilità di quella missiva a
fideiussione diversa
da
quelle azionate nel presente giudizio. Dal che propriamente l'inammissibilità
della censura in
esame
per difetto di interesse.
5.2.
A sua volta, anche la statuizione conclusiva della sentenza d'appello - secondo
cui non era
risultato,
nella specie, possibile l'accertamento del credito azionato nei confronti dei
fideiussori
"per
non avere l'istituto assolto pienamente al suo onere probatorio - si sottrae
al sindacato di
legittimità,
come sollecitato nella parte finale del ricorso, per la sua attinenza all'area
delle
valutazioni,
relative alle risultanze probatorie, riservate alla discrezionalità di giudizio
del
giudice
del merito. Né l'istituto ricorrente può fondatamente sostenere che la
rilevazione di
ufficio,
solo in fase di appello, della questione di nullità della capitalizzazione
degli interessi lo
abbia
ostacolato nella sua attività difensiva. Poiché la Corte territoriale - al
fine di accertare
quanto
effettivamente dovuto alla banca (con detrazione delle voci indebite) - ha
disposto
apposita
Ctu e, nel corso delle operazioni peritali, l'istituto ha avuto evidentemente
modo di
documentare
(cosa che secondo i giudici a quibus non ha fatto in modo compiuto) le proprie
ragioni
creditorie.
6.
Il ricorso va integralmente, pertanto, respinto.
7.
La stessa particolare rilevanza della questione centrale, prospettata con
l'odierno ricorso,
costituisce
giusto motivo di compensazione tra le parti di questo giudizio di cassazione.
PQM La Corte rigetta il ricorso e compensa le
spese.